In un paese ad economia di mercato perché si possa avere una crescita continua ed equilibrata è necessario che la nuova ricchezza, tempo per tempo prodotta, sia distribuita, secondo il loro apporto, tra "CAPITALE" e "LAVORO".
La parte spettante al CAPITALE deve servire: a) per remunerare
l'imprenditore e/o gli azionisti; b) per consentire il rinnovo e l'aggiornamento
tecnologico degli impianti di produzione. La quota destinata al LAVORO,
attraverso l'aumento dei salari e/o di nuova occupazione, deve servire a
sostenere i consumi.
Lasciata al libero arbitrio delle parti sociali, la distribuzione
della ricchezza finisce per essere condizionata dal rapporto di forza tra le
parti. Sia che prevalga l'una o l'altra, vengono a crearsi situazioni, che
possono comportare negativi riflessi sull'andamento dell'economia.
Se a prevalere è la componente "LAVORO", tra le
situazioni che possono crearsi, quella, che più è percepita, più
strumentalizzata ma non la più pericolosa per l'andamento dell'economia, è
l'inflazione. Questo può accadere se
l'aumento dei salari si traduce tutto in un aumento di domanda in presenza di
una offerta stabile.
Se la bilancia pende invece dalla parte del "CAPITALE",
la situazione peggiore (anche la più pericolosa per l'economia), è il
verificarsi di un crescente calo dei consumi. Questa situazione crea un
pericoloso avvitamento verso il basso, che porta prima alla stagnazione e poi
alla recessione.
In Italia negli anni '70 e almeno fino a metà dell'80 del
secolo scorso, fu la componente lavoro a prevalere. Furono anni di forti
tensioni sociali. Anni in cui le classi lavoratrici, grazie alla
ritrovata unità sindacale, ad un clima politico favorevole, riuscirono a
strappare migliori condizioni di lavoro e di salario. Furono anni anche caratterizzati da una forte inflazione, che agli
inizi degli anni '80 raggiunse punte intorno al 20%. Questa però non fu
determinata dalle conquiste salariali dei lavoratori- Fu invece causata
soprattutto da fattori esterni. In particolare, da aumenti senza
precedenti nel costo delle materie prime, seguiti al famoso shock
petrolifero e dalla svalutazione del dollaro non più agganciato al prezzo
dell'oro.
Dalla metà degli anni '80 è in atto la rivincita del Capitale.
Rivincita favorita da diversi elementi tra cui: 1) L'avvento delle correnti neoliberiste,
che, dopo la caduta del muro di Berlino si sono affermate come il pensiero unico
in economia; 2) Il progresso
tecnologico, che ha allentato la pressione del
lavoro sulle aziende e, banalizzando tante figure professionali, né ha
svilito il valore; 3) L'aprirsi al "mercato"di tanti paesi sull'onda
della globalizzazione. Questo ha favorito la delocalizzazione di tante attività
industriali verso paesi a basso costo del lavoro e privi da vincoli ambientali. Alcuni di questi
paesi, come quelli dell’Est Europa, entrati a fare parte dell’U.E, hanno potuto
sfruttare i contributi ricevuti per
praticare anche politiche fiscali scorrette.
Se agli effetti negativi,
sopra riportati, si aggiungono quelli, scaturiti dalla introduzione
dell’euro e quelli dalle politiche di austerità dell’U.E., si può capire il perché della decrescita
e/o bassa crescita della nostra economia registrata negli ultimi 20 anni.
Tutto questo dove ci porta?
Ad affermare ancora una volta la necessità del ruolo essenziale dello Stato
nella economia. Non per fare l’imprenditore di “caramelle” ma
per fissare, controllare le regole del gioco tra le parti sociali, gestendo i
servizi di pubblico interesse, intervenendo quando si venissero a creare forti
disuguaglianze sociali.
Il Governo appena nato dove ci porterà? Se la pandemia sarà superata
entro l’estate, si potrebbe avere, per
l’anno in corso e per il prossimo, il famoso “rimbalzo del gatto” di cui si
prenderà il merito; poi l’economia italiana tornerà ad arrancare, come avviene da 20 anni a questa parte. I nodi del
nostro Paese sono diversi tra cui le politiche economiche di “questa Unione Europea”ed un’arcaica,
obsoleta struttura dello Stato.
TONINO DI TORRE DI FINO 19.02.2021
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