Una moneta parallella per uscire dalla crisi


Nel riproporre, in versione riveduta, l’ipotesi dell’introduzione di una moneta parallela come possibile soluzione per fare uscire dalla crisi l’Italia, si hanno ben presente i non pochi problemi pratici che tale impiego comporterebbe e i tanti muri da superare. I problemi tecnici? tutti superabili. Abbattere “i muri invece sembra decisamente più difficile. Uno di questi è la miopia di gran parte della nostra classe politica, in particolare di quella parte che si professa di Sinistra. È grave non vedere i danni che le politiche di austerità dell’U.E. e del cattivo funzionamento dell’euro producono alla nostra economia. È grave che a Sinistra ci si attardi a proporre un velleitario europeismo, a prospettare come soluzione improbabili revisioni dei trattati, a non prendere invece in considerazione vie alternative che consentano al nostro Paese di evitare un declino che appare inarrestabile. Un altro muro arduo da superare è l’apatia purtroppo dei nostri giovani, che secondo i dati che ci vengono propinati, sarebbero i più danneggiati dalla crisi che stiamo attraversando. Sono loro, che dovrebbero reclamare e contestare per quello che succede nel nostro Paese; sembrano invece, come anestetizzati dai social dei giganti del Web, interessati solo dai simboli del nostro sfrenato consumismo.

                                                                                         COME USCIRE DALLA CRISI SENZA USCIRE DALL’EURO

Gli italiani dal 2000 ad oggi hanno perso mediamente il 40% del loro potere d'acquisto. Questo per effetto sia per le modalità con cui fu introdotto l'euro sia per le scellerate politiche salariali negli ultimi 20 anni nonché per una fiscalità sempre più opprimente. La crisi finanziaria internazionale del 2008 poi, affrontata in sede di Unione Europea con politiche di austerità controproducenti e punitive, hanno contribuito a gettare il paese nella più grave e più lunga crisi economica della sua storia. L’Italia dal 2007 al 2015 secondo i dati ISTAT ha visto scendere il Pil dell’8% pari a ca. 140/mdi, i consumi per 72/mdi, gli investimenti per 113/mdi pari al 29,3%.

Ora per dare alla nostra economia quella scossa necessaria e invocata da tempo, è del tutto evidente che bisogna fare ripartire consumi.

I consumi si rilanciano: 1) aumentando i salari o diminuendo il carico fiscale su imprese e persone fisiche. 2) facendo investimenti tali da generare nuova occupazione. Il problema però non è tanto "il come" quanto con quali e quante risorse; di queste purtroppo ne occorrono tante e in tempi molto ristretti se si vogliono ottenere risultati concreti ed immediati.

I provvedimenti, adottati dai vari governi che si sono succeduti dallo scoppio della crisi ad oggi, si sono rivelati inefficaci se non dannosi; non hanno aumentato per nulla il potere d'acquisto complessivo, come invece sarebbe necessario. Anche la politica monetaria adottata dalla BCE non hanno cambiato le sorti della nostra economia. I recenti modesti miglioramenti, che vengono segnalati su stime sempre più ballerine, sono più il frutto della migliorata congiuntura internazionale che conseguenti ai provvedimenti adottati.

Per le imprese, il problema dei problemi, non è tanto il costo del lavoro o il costo del denaro (mai così basso come adesso) ma il progressivo calo della domanda interna che costituisce circa l'80% del PIL.

 Possibili vie d'uscita dalla crisi.

1) Uscire dall'euro, visto che l'Europa non sembra intenzionata a modificare la sua politica tutta centrata sul rigore finanziario. Se l'euro saltasse per tutti, l'effetto forse non sarebbe poi tanto devastante. Se fosse invece solo l'Italia ad uscire dal sistema, allora le conseguenze potrebbero essere serie almeno per alcuni anni, con possibili conseguenze sul piano sociale e politico.

2) Una patrimoniale da 400/500 miliardi di euro, come ipotizzata nella famosa telefonata rubata tra un finto Vendola e Fabrizio Barca. Se fosse stata fatta 5/6 anni fa, ovviamente spalmata su 4/5 anni, sarebbe stata meno dannosa dei tanti provvedimenti adottati nel frattempo; ora saremmo fuori dalla crisi e, a conti fatti, sarebbe costata per le tasche dei nostri risparmiatori e capitalisti meno di quanto si è perso nei valori di Borsa e nei valori immobiliari. Farla adesso sembra tardi e comunque per farla ci vorrebbe un governo che potesse contare su una solida maggioranza parlamentare e un forte sostegno popolare. Condizioni che, allo stato attuale, è difficile prevedere.

3) Affiancare all'euro una seconda Moneta con queste caratteristiche: stesso valore però dell'euro, non convertibile in altre valute, con circolazione limitata solo all'Italia e solo per i residenti in Italia. Non utilizzabile nei rapporti con lo Stato e con gli altri enti pubblici ma spendibile solo in acquisti di beni e servizi tra privati; non entrerebbe nel perimetro del bilancio statale e quindi non sarebbe nuovo debito per lo Stato. Sarebbe compatibile con la Moneta unica perché non andrebbe a modificare la nostra posizione in euro. Non occorrerebbe neanche stamparla perché potrebbe essere utilizzata con una comune carta di credito. Questo per le persone fisiche. Per le imprese invece, per incentivarle ad accettare in pagamento la nuova Moneta, si potrebbe assegnare i Certificati di Credito Fiscale in euro  sia a riduzione del loro carico fiscale sia in progressiva sostituzione della nuova Moneta in loro possesso, compatibilmente con l'andamento dell'economia. I Ccf sono titoli in euro con scadenza a due/tre anni che possono essere utilizzati dal possessore a maturazione per pagare le tasse. Possono essere ceduti a terzi e/o scontati presso banche. Per una migliore comprensione sul loro funzionamento, sulla compatibilità col trattato europeo dell’euro e sugli effetti nell’economia reale si rimanda ai numerosi post pubblicati sul blog bastaleurocrisiblogpost.it del dr. Marco Cattaneo.

Quanta di questa Moneta mettere in circolazione? Subito 70/80 miliardi. Metà per abolire l'IRAP per le imprese, per aumentare le pensioni, per ridurre in maniera significativa l'IRPEF sui salari e introdurre il tanto discusso salario minimo di cittadinanza o d'inserimento al lavoro. L'altra metà per rilanciare gli investimenti pubblici. Solo una immissione di liquidità di questa portata darebbe alla nostra economia la scossa necessaria per ripartire. Per quanto tempo? andrebbe ripetuta per un periodo di almeno di cinque anni e comunque fino a quando non si avesse una crescita dell'economia di almeno il 3% annuo.

Possibile effetto negativo? l'inflazione. Fenomeno non scontato, tenuto conto che attualmente gli impianti produttivi per molte imprese sono sotto utilizzati; fenomeno, che comunque con opportuni accordi con le categorie interessate, col monitoraggio costante dell'andamento dei prezzi e con la minaccia della sospensione dei benefici per chi aumentasse i prezzi senza giustificazione alcuna, andrebbe mantenuto entro i 2/3 della crescita del PIL. Risultato che da due anni la stessa BCE sta cercando vanamente di conseguire col Q.E. L'inflazione, come si è constatato negli anni '80, per l'economia risulta meno deleteria della stagnazione o peggio della deflazione.

In questo periodo, ci sarebbe tutto il tempo per sburocratizzare il paese, per rivedere le sue obsolete strutture senza affanni e forzature, riqualificare la spesa pubblica per aumentarne la parte destinata in investimenti.

E dopo cosa fare? Rimanere nell'euro, assorbendo gradualmente la liquidità" nostrana" immessa, se nel frattempo l'Europa avesse cambiato la sua rovinosa politica monetaria che ci sta portando al disastro economico e sociale. In caso contrario, uscirne. 

Con una economia rilanciata si potrebbe navigare tranquillamente anche da soli come fanno paesi come gli U.S.A, la Gran Bretagna, il Giappone.

Dove invece va l’Italia? Verso un progressivo declino.
Una élite di politici e di burocrati, preoccupata solo di conservare potere e privilegi, ha pensato di collocare furbescamente le sorti del Paese fuori dai confini nazionali. Per fare questo non ha esitato, violando la Costituzione, a vendere pezzi strategici di sovranità popolare. Con l’adesione e con l’introduzione dell’euro sono stati ceduti il potere di stampare moneta e la politica monetaria; con il cosiddetto accordo sull’unione bancaria europea, si è completata “l’operazione”, cedendo alla BCE anche il controllo sul nostro sistema bancario. In cambio di cosa? Di nulla. Anzi con la sottoscrizione del famigerato fiscal compact, si è dovuto accettare condizioni, che hanno aggravato ulteriormente la nostra crisi economica e, che se fosse applicato in toto, porterebbe il Paese al completo disastro. Tutto questo senza che il popolo italiano sia mai stato chiamato a pronunciarsi con un referendum, come invece è avvenuto in altri paesi europei. Hanno fatto tutto Loro; i nostri politici che, quando hanno ritenuto necessario, si sono fatti sostituire dai cosiddetti professori e/o tecnici. Tutti però, politici, professori e burocrati, imbevuti di quel pensiero unico, che è andato affermandosi dopo la caduta dei regimi comunisti dall’America all’Europa alla fine degli anni ’80. Un liberismo sfrenato, che ha fatto da sfondo alla cosi detta globalizzazione, che ha permesso a speculatori famelici di arricchirsi sempre di più e a qualche miliardo di comuni mortali d’impoverirsi sempre di più.