Basilicata. Gli appuntamenti mancati e/o gli inganni subiti dall’unità d’Italia ad oggi.

L'unità d'Italia 1861
Fu la prima grande occasione persa per uscire dall’isolamento plurisecolare e da un sistema tardo feudale. Le promesse “garibaldine” non mantenute di smantellare i privilegi esistenti e l’introduzione di tasse, prima del tutto sconosciute, fecero esplodere quella ribellione dei nostri antenati che, andandosi a saldare con coloro che vivevano fuori dal contesto sociale, divenne una guerra civile. Per più di dieci anni la nostra Terra fu messa “a sacco e fuoco” dall’esercito regio che si macchiò di crimini orrendi. Altro che lotta al brigantaggio!!  Verità che fino ai giorni nostri è stata abilmente nascosta; storia che non abbiamo potuto studiare, che ancora oggi è messa in dubbio anche da molti nella nostra regione. A questo riguardo, ho già sostenuto in occasione della ricorrenza dei 150anni dell’unità d’Italia nel 2011 che la data del 17marzo per noi Lucani dovrebbe essere considerato come il nostro giorno “della memoria”. Non con lo spirito di tornare a vecchie divisioni ma come monito perché fatti del genere non accadano mai più. La Basilicata fu allora abbandonata alla vecchia élite che anziché allearsi con le masse contadine a difesa dei comuni interessi si sarebbe mostrata sempre più subalterna agli interessi del Nord. In circa mezzo secolo più di centomila lucani furono costretti dalla fame ad emigrare per terre “assai lontane. Chi di noi non ha un lontano antenato partito per “lamerica?”

Le lotte contadine e il fallimento della riforma fondiaria 1948/1956
Abilmente strumentalizzato dal partito comunista, il vecchio sogno dei contadini di possedere un pezzo di terreno da coltivare per i bisogni della propria famiglia sfociò nel secondo dopo guerra in tutto il Sud e nella nostra regione in particolare in dure lotte con spargimento anche di sangue. I governi di allora, sotto la spinta degli eventi, attuarono una timida riforma agraria tale comunque da spingere l’allora presidente del Consiglio A. De Gasperi ad affermare che la Basilicata sarebbe diventata la California d’Italia. La riforma però era destinata a non avere l’esito da Lui auspicato. I terreni furono assegnati in parte a persone che in vita loro non avevano mai provato a lavorare con un aratro e meno che meno con un trattore; peggio ancora, gli assegnatari furono lasciati soli senza strutture e mezzi adeguati per praticare un’agricoltura diversa e più moderna. Qualche anno dopo, per giunta, l’agricoltura mediterranea veniva sacrificata sull’altare del Mercato Comune Europeo per favorire le attività industriali del Nord Italia. Con il fallimento della nostra agricoltura svaniva definitivamente pure il sogno dei nostri genitori. Si riaprivano ancora una volta le porte per una nuova ondata migratoria, questa volta verso il Nord Europa e Nord Italia, che avrebbe svuotato in maniera drammatica i nostri paesi.
La speranza, l’illusione, la delusione per la industrializzazione nella valle del Basento-1961/1990
Già verso la fine degli anni ’50 le ricerche dell’Eni avevano individuato nel nostro sotto suolo la presenza di idrocarburi (metano e petrolio). Il petrolio era però a grande profondità; difficile da estrarre per la tecnologia di allora e non economico per i prezzi di quegli anni. Per il metano, più facile da estrarre, già ci si preparava a canalizzarlo verso Taranto quando la grande mobilitazione popolare costrinse l’azienda di Stato e il Governo a cambiare idea, venendo finalmente incontro alle esigenze occupazionali delle nostre zone.
Era il 31luglio del 1961 in Val Basento quando, alla presenza di Enrico Mattei e di “Don” Emilio Colombo, veniva posta la prima pietra dello stabilimento Anic (Eni). Iniziarono cosi i lavori di quella che era destinata diventare l’area industriale della Val Basento. Iniziava la speranza per un futuro di progresso e di lavoro per la nostra gente. A fine degli anni ’60, erano infatti oltre 5000 le persone che lavoravano negli stabilimenti della zona. Una situazione senza precedenti che avrebbe cambiato la stessa struttura sociale dei paesi coinvolti.
Il quadro era purtroppo destinato a cambiare in peggio nel giro di pochi anni sia a causa della crisi del settore chimico sia per i cambi di strategia dell’Eni o forse perché la stella di Emilio Colombo era al tramonto nel firmamento democristiano di allora.
In poco più di 30anni in Val Basento si è passato dalla speranza per un futuro migliore ad una drammatica situazione fatta di migliaia di lavoratori in cassa integrazione, di nuovi disoccupati, di malattie professionali che hanno causato la morte di molti di loro senza che qualcuno sia stato mai chiamato a rispondere. E non solo. Alla fine ci si è trovati pure con una drammatica situazione d’inquinamento dei terreni che ancora persiste.

Il petrolio, l'ennesimo inganno!
Mentre andavano spegnendosi le ciminiere in Val Basento, ironia della sorte, veniva accesa la fiamma del petrolio in Val d’Agri. Le nuove tecnologie e i prezzi del petrolio di fine anni ’90 rendevano ora conveniente l’estrazione del nostro petrolio soprattutto per le multinazionali del settore. L’attività, molto complessa, ha evidenziato da subito  gravi problemi per l’ambiente e per la salute. Per questo andava subito circoscritta, monitorata da enti indipendenti e competenti; di certo non ampliata anche perché comporta uno scarso impatto sull'occupazione; non ultimo, perché le sue prospettive future sono molto incerte. Si rischia, dopo avere rovinato la Val Basento, di fare anche peggio con la Val d'Agri. La questione ambientale, che deve interessare tutti nessuno escluso, purtroppo è diventata strumento di lotta politica. Se, al riguardo, non è sempre facile credere agli allarmi delle associazioni ambientaliste, di certo non si può credere alle assicurazioni delle multinazionali e alle riassicurazione della nostra classe politica. Quest’ultima è estrazione di quella piccola borghesia che mai si è mostrata capace di difendere i legittimi interessi della nostra Terra.  Come vengono spese le modeste royalties del petrolio estratto? Come al solito, a sostegno di una politica fatta di sottogoverno e di clientele mentre la situazione economica e sociale delle nostre popolazioni continua a sprofondare. I dati sulla disoccupazione e sulla crescente povertà in Basilicata sono senza tema di smentite. Era ed è necessaria invece una diversa e chiara visione sul futuro di questa nostra Terra, che non poteva forse essere la chimica né può essere il petrolio. Non siamo diventati la California, non diventeremo il Texas nè la zona di Melfi diventerà la nostra Detroit, come Scanzano non diventerà ( è bene che Qualcuno lo sappia!) la pattumiera delle scorie radioattive dell'Italia! Occorre puntare su attività compatibile col territorio, se si vuole uno sviluppo che duri nel tempo come ad esempio l'agroalimentare che potrebbe giovarsi anche delle promettenti attività del turismo. Disponiamo infatti anche del cosi detto oro blu" ovvero l'acqua, sempre però che si riesca ad impedire che l’inquinamento dei residui del petrolio renda vano anche queste ulteriori e forse residue possibilità di sviluppo. Gaetano Salvemini in un suo famoso discorso gridò:" Il Mezzogiorno salvi il Mezzogiorno" Più modestamente grido: " I Lucani salvino la Basilicata" perché gli altri non lo faranno!

T.d.T.d.F. 5 aprile 2015