Il vecchio e famoso detto popolare, per la verità, recita
“ chi rompe paga.” In Italia però questo non succede più,
specie in politica e in economia.
Per circa vent’anni gli
imprenditori italiani (o la classe padronale per chi volesse usare
un termine marxista non più di moda), con la collaborazione di una elite
radical-chic e a causa di un mondo sindacale diviso, hanno fatto passare la
tesi che il problema principale delle aziende italiane era costituito dall’alto
costo del lavoro che impediva loro di essere competitive sui mercati
esteri.
In tutto questo lasso di
tempo chi ha governato, incapace di ridurre sulle imprese il peso eccessivo di
una Pubblica Amministrazione sempre più soffocante ed inefficiente,
anzichè ridurre il carico fiscale e contributivo sui salari (vero problema
dell’eccessivo costo del lavoro in Italia), ha preferito assecondare politiche
ed accordi sindacali che poi, complice anche l’introduzione dell’euro,
hanno compresso il potere d’acquisto dei lavoratori specie del settore privato
e dei pensionati di almeno il 40%.
Lo scoppio della grave
crisi finanziaria internazionale del 2008, gradatamente si è trasformata,
per i nostri difetti strutturali e per le politiche recessive imposte
dall’Unione Europea, in una grave crisi economica senza precedenti,
caratterizzata da continui cali di consumi delle famiglie, perdite di posto di
lavoro, chiusure di migliaia di aziende ecc.ecc.
Sembra però che il
peggio debba ancora avvenire. La classe politica e gli imprenditori infatti
fanno fatica o meglio non vogliono capire la lezione che scaturisce dalle
politiche salariali sbagliate adottate negli ultimi due decenni.
E’ chiaro che non siamo
di fronte a qualche cosa che possa essere definita “uno sbaglio” Comunque a
pagare sono gli altri.. sempre i più deboli. Fino a quando?.
T.d.T.d.F.
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